Il progressivo allungamento della vita ed il cambiamento di alcune condizioni socio-culturali, hanno contribuito all’aumento di molteplici malattie associate all’invecchiamento. La letteratura scientifica di riferimento e l’esperienza clinica hanno mostrato, all’interno della patologia neurologica, sempre maggiori evidenze riguardanti duplici complicanze di tipo psicologico.
Mentre da un lato, infatti, si rileva frequente la presenza di molteplici disturbi della sfera cognitiva, d’altro canto si può rilevare un concomitante burden emotivo (“peso emotivo”) che può essere riferito non solo ai deficit cognitivi in sé, ma anche all’esistenza stessa di malattia ed ai disagi a cui è associata.
All’interno di questo quadro assume notevole rilievo la relazione del paziente neurologico, inteso come continuum mente-corpo, con il proprio caregiver. Il sistema che il paziente ed il rispettivo caregiver costituiscono genera una coscienza relazionale che andrà ad influenzare l’interpretazione della malattia neurologica stessa. Tale coscienza è strettamente connessa sia a sistemi valutativi innati, come i sistemi motivazionali dell’attaccamento e della ricerca della prossimità e dello sguardo del caregiver presenti nel bambino sin dalla nascita, sia ad altri acquisiti attraverso l’esperienza (Siegel, 1999).
Per poter affrontare una tematica dì tale complessità in modo adeguato è innanzitutto opportuno rendere esplicito cosa si intende con il termine caregiver e tutto ciò che questa stessa parola evoca intorno a sè.
Nonostante gli studi longitudinali abbiano documentato che a parità di età le condizioni cliniche degli anziani si sono significativamente evolute positivamente rispetto a quelle del passato (Pasqualini R., Salvioli G., 2000), l’invecchiamento globale della popolazione, l’alta incidenza di ultraottantenni, in riferimento alle condizioni cliniche, comporta un’ inevitabile crescita della morbilità e disabilità, soprattutto nelle sue forme più gravi (Golini A., Basso S., Reynaud C., 2002; Branca S., Spallina G., Caprino C., Ferlito L., Motta M., Bennati E., 2005).
Considerando la complessa molteplicità delle patologie neurologiche e della loro progressione processuale, ecco che assume un’importanza essenziale quella del caregiver. Anche se non esiste una spiegazione definitiva per tale termine esso viene generalmente associato ad una persona responsabile che, in ambito domestico e non, si prende cura di un soggetto dipendente e/o disabile. C’è un generale consenso sul fatto che tale supporto e aiuto è solitamente fornito dal partner o da un membro della famiglia.
Per il caregiver sembra che l’intero focus risieda proprio nella cura, supervisione, e mantenimento della qualità della vita del paziente neurologico. Di conseguenza sembra che i caregivers si trovino in prevalenza in età attiva (31,9% ha età fino a 45 anni, il 38,2% ha tra 46 e 60 anni), mentre il 17,9% ha tra 61 e 70 anni ed il 13% oltre 70 anni (Golini e co., 2005).
La ricerca mostra quanto il caregiving rappresenti davvero un’attività complessa; i caregivers spesso soffrono per la colpa, la fatica e la depressione che li accompagnano per anni nella gestione della malattia (Burke A. e co., 2015). In effetti tale attività, pur essendo espressione di tutela e garanzia per il paziente neurologico, può manifestarsi con gravi problematiche di salute e distress psico-emotivo.
Considerando che le responsabilità del caregiver non terminano neppure quando il paziente è ammesso in un percorso di cura assistenziale sanitaria, il clinico dovrebbe considerare i bisogni sia del paziente che del caregiver stesso, provvedendo al miglioramento della sua resilienza e qualità di vita (Burke A. e co., 2015), principalmente attraverso una costante attività di sostegno psicologico sia individuale che inter-individuale.
Questo dovrebbe facilitare il benessere della persona che incarna il pilastro fondamentale attorno a cui ruota l’esperienza di vita del malato neurologico.