Per i filosofi greci la memoria era come una tavola di cera su cui andavano a imprimersi le esperienze, forse in eterno; secoli dopo, sia Sigmund Freud che William James paragonarono i ricordi a oggetti collocati nelle stanze di una casa.
Per Ulrich Neisser, uno dei padri del cognitivismo, solo alcuni brandelli dei dati in entrata nel nostro cervello vengono rappresentati nella memoria; questi frammenti trattenuti dall’esperienza fornirebbero a loro volta la base su cui ricostruire un evento passato, un po’ come un paleontologo che ricostruisce la forma dei dinosauri dai frammenti ossei.
Ma, sempre riprendendo la similitudine di Neisser, è possibile che talvolta si scelga qualche frammento osseo sbagliato, arrivando a compromettere la ricostruzione del dinosauro?
In un famoso studio condotto da Loftus e Palmer nel 1974 fu mostrato a un gruppo di soggetti il filmato di un incidente automobilistico, in cui due vetture si scontravano. Successivamente ai soggetti, divisi in due sottogruppi, furono sottoposte delle domande.
Ad un gruppo fu chiesto: “Qual era la velocità della macchina, quando ha urtato l’altra?”, mentre all’altro: “Qual era la velocità della macchina, quando si è schiantata contro l’altra?”. Cambiava solo un verbo tra le due domande.
Il primo gruppo rispose circa 13 km/h mentre il secondo, quello del verbo “schiantarsi”, stimò l’impatto a circa 17 km/h; ciò è interessante perché dimostra quanto l’effetto di una domanda possa influire sulla risposta al momento del recupero mnestico.
La cosa più sorprendente successe però successivamente, quando i soggetti furono convocati dopo circa una settimana per rispondere a qualche altra domanda sull’incidente. Una delle domande era: “Hai visto qualche vetro rotto?” (in realtà nel filmato non si vedevano vetri rotti, quindi la risposta esatta era no). Tuttavia, i soggetti a cui era stata chiesta la velocità nell’impatto usando il verbo “schiantarsi” furono significativamente più propensi a riportare di aver visto vetri rotti nella scena rispetto al gruppo con cui fu usato il verbo “urtare”. Dopo aver udito il termine “schiantare” i soggetti avevano ricostruito il loro ricordo in modo da renderlo coerente con l’idea di un incidente violento, producendo inconsapevolmente un falso ricordo.
I ricordi possono essere quindi influenzati e distorti da vari fattori, come le domande poste, ma anche dagli obiettivi che ci prefiggiamo al momento in cui si richiamano alla mente, dalle proprie credenze, dal carico emotivo che questi comportano, nonché dalle condizioni psicofisiche nostre al momento della codifica e del recupero.
Una parte importante della nostra esperienza rievocativa è quindi costruita o inventata al momento del recupero; d’altronde stiamo “contribuendo a dipingere un quadro di un evento proprio mentre lo ricordiamo”(D.L. Schacter).
Dott. Luca Marini