Dal mese di Dicembre 2019 con il propagarsi del COVID-19 (o malattia respiratoria acuta da SARS- Cov-2) molti paesi hanno chiesto ai propri cittadini di isolarsi, dapprima solo se infettati dal virus o in contatto con persone infettate, ed infine all’intera popolazione per evitare il diffondersi del contagio.
Questo ha visto dapprima la Cina, lo stato più popoloso al mondo con circa 1,4 miliardi di abitanti, porre ogni città in quarantena. Con il propagarsi del contagio al di fuori dei confini nazionali, altri paesi hanno adottato le stesse misure (in Europa il primo è stato l’Italia, nella prima decade di Marzo 2020). A fine marzo 2020 circa metà della popolazione mondiale è stata posta sotto isolamento, una condizione mai sperimentata prima su questa scala, con tempi di conclusione ancora incerti.
Ma cos’è la quarantena?
Con quarantena intendiamo la separazione o restrizione dei movimenti delle persone che sono state potenzialmente esposte al virus, al fine di accertare se sono malate e per non permettere che contagino altri. La definizione è diversa da quella di isolamento, che è la separazione di persone che sono state contagiate da quelle che non lo sono; ad ogni modo, i due termini sono comunemente usati in maniera intercambiabile.
La quarantena è un periodo difficile: la separazione dalle persone amate, la perdità di libertà, l’incertezza circa il proprio stato di salute (e quello altrui) e la noia, possono causare effetti drammatici. Tutti noi lo stiamo vivendo.
Un uso proficuo della quarantena come misura di sanità pubblica richiede quindi, nei limiti del possibile, il cercare di ridurre gli effetti negativi che comporta.
Quest’articolo è basato su una review (Brooks SK, Webster SK, Smith LE et al. The psychological impact of quarantine and how to reduce it: rapid review of the evidence. Lancet 2020; 395:912-20.) condotta su 24 articoli scientifici su ricerche svolte in 10 paesi che hanno sperimentato già la quarantena per la SARS, l’Ebola, l’influenza H1N1, l’influenza equina o la sindrome respiratoria mediorientale (MERS).
Quali sono i fattori di stress durante la quarantena?
- La durata: periodi di quarantena più lunghi (uno studio indica come “lunghi” quelli superiori ai 10 giorni) sono associati ad un peggioramento della salute mentale, con in particolare sintomi attribuibili a disturbo post traumatico da stress, comportamenti di evitamento e rabbia.
- Paura dell’infezione
- Frustrazione e noia
- Avere servizi inadeguati (cibo, acqua, medicine): può essere fonte di sentimenti di rabbia e frustrazione anche dopo 4-6 mesi.
- Informazioni inadeguate: molte persone riportano la scarsezza o inefficacia di informazioni fornite dalle autorità sanitarie come fattori di stress, causando stati di confusione su qual è lo scopo della quarantena.
Quali sono i fattori di stress dopo la quarantena?
- Situazione economica: perdite finanziarie dovute alla sospensione o perdita della propria attività lavorativa sono un fattore di rischio per lo sviluppo di psicopatologie nei mesi seguenti la quarantena.
- Stigmatizzazione: ovvero subire (specie per chi è stato contagiato) connotazioni negative di vario tipo come l’evitamento sociale, venendo quindi trattati in maniera differente rispetto a prima sia in ambito sociale che relazionale con atteggiamenti di sospetto e paura.
Come abbiamo visto la quarantena può avere effetti psicologici negativi, che possono perdurare mesi o anni. Rimane comunque una misura preventiva necessaria, specie per un virus del quale attualmente non abbiamo un vaccino. La letteratura pone come particolarmente predisposti a sviluppare effetti psicologici negativi chi già aveva una psicopatologia, e gli operatori sanitari, in prima linea nell’occuparsi dei malati. Queste figure (ma non solo!) necessitano di un importante supporto psicologico durante e dopo la quarantena.
Ma alla luce di quanto detto, come possiamo mitigare le conseguenze della quarantena?
- Renderla il più breve possibile: il periodo di isolamento si deve basare su chiare evidenze scientifiche ed essere comunicato quanto prima alla popolazione, oltre a non essere esteso dalle autorità senza approvazione della comunità scientifica.
- Dare alle persone più informazioni possibili sulla patologia (da canali ufficiali): capire le ragioni della quarantena deve essere una priorità per la popolazione. Le informazioni devono essere chiare.
- Fornire adeguati servizi: i bisogni primari delle persone devono essere soddisfatti (cibo, acqua, medicine) con disponibilità di accesso e fornitura rapida.
- Ridurre la noia ed aumentare/migliorare la comunicazione: le persone in quarantena dovrebbero avere la possibilità di saper come affrontare la noia ed avere consigli pratici su tecniche di gestione dello stress. Avere uno smartphone è diventato al giorno d’oggi una necessità e non un lusso; il contatto con la propria rete sociale di amici e familiari tramite social network non è una priorità, ma l’impossibilità di farlo causa ansia e sintomi di stress a lungo termine. E’ importante inoltre che le autorità pubbliche mantengano un canale diretto di comunicazione con i cittadini, attivando servizi per informazioni di carattere sanitario e di supporto psicologico.
- Capire il proprio ruolo, una scelta altruistica: la quarantena può rafforzare il senso di comunità ed è fondamentale per far sì che gli altri siano al sicuro, specialmente chi è più vulnerabile come bambini, anziani o chi ha patologie pregresse; le autorità sanitarie e l’intera società ne sarà per sempre grata. Non è retorica, ma se lo pensiamo, riflettiamo sul fatto che è anche il modo migliore per tenere sé e i propri cari al sicuro.