Fino agli anni ’50 del secolo scorso la memoria veniva considerata un fenomeno unitario; con gli anni ’60 e la psicologia cognitivista si è assistito a un crescente numero di studi, tra i quali in particolare quello di Atkinson e Shiffrin, che proposero la ormai classica distinzione tra magazzino sensoriale, memoria a breve termine (MBT) e memoria a lungo termine (MLT) il cosiddetto “modello del multimagazzino”. In particolare il magazzino sensoriale riceverebbe gli stimoli dagli organi di senso, e avrebbe una capacità di ritenzione molto limitata (pochi secondi), mentre il magazzino a breve termine (MBT) conterrebbe informazioni che vengono ricordate per alcune decine di secondi o minuti. Infine il magazzino a lungo termine (MLT) contiene informazioni che vengono ricordate per periodi prolungati, e che una volta immagazzinate nel cervello possono essere recuperate quando necessario.
Successivamente, una migliore specificazione del concetto di memoria a breve termine si deve a Baddeley e Hitch (1974) che la definirono come “working memory” (memoria di lavoro), ossia come l’abilità di mantenere temporaneamente informazioni in mente e manipolarle. La moderna definizione di working memory enfatizza la sua natura dinamica nel rappresentare e manipolare informazioni provenienti dall’ambiente o recuperarle dalla memoria a lungo termine, piuttosto che essere un sistema di passaggio passivo di informazioni verso il magazzino a lungo termine.
La working memory rappresenta infatti una sorta di interfaccia tra percezione, memoria a lungo termine ed azione che sottende i processi di pensiero, risultando quindi un elemento importante per molte altre funzioni cognitive, tra cui il linguaggio, il problem solving, il ragionamento e il pensiero astratto; il suo ruolo centrale spiega l’interesse e il grande numero di ricerche dedicatogli negli scorsi decenni.
Nel modello originale di Baddeley la working memory sarebbe costitutita da un sistema attenzionale (esecutore centrale) che supervisiona e coordina due sistemi sussidiari (slave system); il ciclo articolatorio o fonologico (phonological loop), responsabile dell’elaborazione dell’informazione linguistica, e il taccuino visuospaziale (visuospatial sketchpad), da cui dipenderebbe l’elaborazione del materiale non verbale, coinvolto nei processi di rotazione mentale, lettura e confronto.
“Pensate per un momento a quante finestre ci sono nella vostra casa: il taccuino visuospaziale vi permetterà di visualizzare mentalmente le varie finestre presenti e il ciclo fonologico di enumerarle. L’esecutivo centrale è invece la componente che coordina i due processi, permettendo questa operazione e la susseguente risposta.” (Alan Baddeley)
Tradizionalmente da studi lesionali si è visto come la corteccia prefrontale renda i soggetti incapaci di svolgere anche compiti semplici che richiedono l’uso della working memory.
Successivamente, studi di neurofisiologia hanno identificato neuroni che non solo rispondono a stimoli sensoriali, ma che rimangono attivi per un certo periodo di tempo dopo che lo stimolo non è più presente; questa “attività persistente” sarebbe il correlato neurale della working memory, e non sarebbe presente solo a livello della corteccia prefrontale, ma in un ampio network di aree corticali e sotto-corticali.
La working memory rappresenta attualmente per le neuroscienze e la neuropsicologia un costrutto fondamentale date le sue interconnessioni con le altre funzioni cognitive e per l’importanza che riveste a livello ecologico per un efficiente funzionamento cognitivo.
Ma perché la working memory è così importante? La sua importanza deriva dal fatto che è una componente imprescindibile per l’acquisizione di abilità come la lettura, il linguaggio e le abilità aritmetiche (sta venendo a questo proposito indagata nei DSA- disturbi specifici dell’apprendimento), interfacciandosi con le capacità attentive ed esecutive, ed essendo elemento imprescindibile per ragionamento, problem solving, capacità logiche e di pianificazione. Sta emergendo infatti come sia legata a quella che Spearman prima e Cattell poi definirono “intelligenza fluida”, ossia la capacità di pensare logicamente e risolvere problemi in situazioni nuove indipendentemente dalle conoscenze acquisite, adottando un pensiero fluido che comprenda sia il ragionamento induttivo che quello deduttivo. A questo proposito le scale di intelligenza più diffuse, sia per gli adulti (WAIS-IV), che per i bambini (WISC-IV), hanno introdotto un Indice di Memoria di Lavoro tra i componenti fondamentali per una corretta valutazione cognitiva. Saranno comunque necessari in futuro paradigmi per studiarla meglio sia a livello di neuroimmagine che nell’ambito valutativo e riabilitativo, dove appare una componente centrale per una riabilitazione accurata ed efficace, spesso confusa dai pazienti stessi che ne hanno un deficit come comuni problemi di memoria o dimenticanze, e che può essere allenata e incrementata tramite appropriati training cognitivi.
Dott. Luca Marini