Chi è al comando? Alla scoperta delle funzioni in grado di controllare e pianificare il nostro comportamento: le funzioni esecutive.
Organizzare le tappe di un viaggio on the road.
Pianificare la strada più breve per tornare a casa dopo lavoro, visti i lavori in corso sulla tangenziale.
Prendere decisioni economiche vantaggiose.
Comportarsi in maniera socialmente appropriata con un estraneo.
Pianificazione, organizzazione del proprio comportamento, capacità di inibizione di risposte automatiche e valutazione delle conseguenze delle proprie azioni, sono capacità che contraddistinguono l’uomo più di ogni altro aspetto dalle altre specie animali.
Queste sono le funzioni esecutive.
E’ noto da tempo che la corteccia prefrontale svolge un ruolo cruciale in queste attività; è infatti considerata la sede più elevata dei processi cognitivi ed affettivi, svolgendo un ruolo fondamentale nel controllo esecutivo, ovvero l’abilità di coordinare sistemi emotivi, sensoriali e motori nella guida del comportamento diretto ad uno scopo.
E’ importante notare da un punto di vista evolutivo come la corteccia prefrontale abbia raggiunto la massima grandezza e complessità funzionale nei primati, ed in particolare nell’uomo, dove occupa circa 1/3 della materia cerebrale.
Il suo funzionamento è associato al comportamento intelligente, flessibile e adattivo; secondo Shallice (1982), la funzione basilare della corteccia prefrontale è quella di prevedere, pianificare, valutare, regolare le proprie azioni ed inibire azioni, comportamenti e piani inadeguati. Lezak (1995) sottolinea inoltre come le funzioni esecutive siano capaci di rendere un individuo capace di assumere un comportamento indipendente, finalizzato e autoconservativo.
Da un punto di vista anatomico si può distinguere un sistema frontale dorsolaterale in grado di controllare la pianificazione di azioni sequenziali e l’elaborazione di strategie, integrandole in un comportamento mirato (funzioni cosiddette fredde), ed un sistema frontale orbito-mediale che interagisce con gli aspetti emotivi, legati alla motivazione e all’iniziativa (funzioni calde).
La lesione di queste regioni cerebrali produce quindi una varietà di deficit cognitivi ed emotivi, che si possono tradurre in comportamento impulsivo, inappropriato, disorganizzato e rigido per mancanza di flessibilità di pensiero.
I lobi frontali possono essere compromessi in seguito a trauma cranico, eventi ischemici , condizioni psichiatriche o per lo svilupparsi di una malattia dementigena; per questo è importante un’accurata valutazione per verificarne il funzionamento ed eventualmente procedere ad un intervento riabilitativo.
Le funzioni esecutive, in quanto funzioni di “raccordo” in grado di controllare e dirigere il comportamento, influenzano direttamente capacità cognitive come la memoria, il linguaggio, l’attenzione e la prassia; è importante quindi in fase valutativa stabilire se il deficit sia selettivo, ovvero dovuto ad una compromissione di una specifica funzione, o se sia nel controllo esecutivo delle stesse dovuto a lesione frontale, impedendone il corretto funzionamento.
Data la frequenza e il drammatico impatto che i danni alle funzioni esecutive hanno nella vita dei pazienti e dei familiari, il trattamento riabilitativo è di primaria importanza.
La riabilitazione può risultare complicata per la difficoltà della stima del danno alle funzioni esecutive (l’impatto infatti è spesso elevato nella vita quotidiana e fluttuante in sede di laboratorio), per la mancanza di consapevolezza del proprio deficit da parte del paziente (anosognosia), ed infine per la difficoltà nella generalizzazione dei progressi fatti in riabilitazione nelle situazioni affrontate nella quotidianità.
Ad ogni modo la riabilitazione è molto soggettiva, visti anche gli obiettivi e le capacità cognitive dei pazienti, ed appare comunque fondamentale per il miglioramento della qualità della vita o per un reinserimento lavorativo.
Un primo step per procedere è verificare che i processi attenzionali di base siano recuperati; è spesso quindi utile un training sulla working memory, causa di molti disturbi cognitivi.
Si può quindi procedere svolgendo allenamenti veri e propri volti al ripristino o al potenziamento delle capacità di problem solving, al miglioramento della definizione dei problemi da affrontare e della successiva fase di decision-making, interventi basati sul goal neglect, ossia la capacità di dire stop al “pilota automatico”, per usare le parole di Levine, e allenare al mantenimento e monitoraggio dell’obiettivo durante l’esecuzione di comiti complessi.
Inoltre sono necessari talvolta interventi educativi sulla consapevolezza (i pazienti possono essere ignari dei propri deficit e ciò è un ostacolo per la riabilitazione) e sulle confabulazioni prodotte, e tecniche di modificazione comportamentale per favorire il rinforzo delle condotte desiderate e ridurre i comportamenti disfunzionali, come possono essere azioni dettate da impulsività, aggressività, irritabilità e rigidità di pensiero.
Dott. Luca Marini